Tutto è iniziato una domenica di giugno del 2011. Ci siamo ritrovati al diving di Marco in sei, con età che andavano dai 12 anni a più di 40. I volti lasciavano trapelare varie emozioni. La gioia di chi fino a quel momento era stata considerata sempre piccola, la perplessità delle adolescenti davanti a persone che si preparavano alle immersioni fino ad arrivare all’adulto che cercava di tenere a freno la contentezza di poter partecipare a quell’esperienza.
Gli animi sono subito cambiati quando, iniziata la prima lezione di teoria, abbiamo capito che l’intera storia non sarebbe stata una passeggiata. Il corso andava preso con la massima serietà e potersi immergere per scoprire le bellezze sottomarine sarebbe dipeso solo da noi e dalle nostre capacità.
Tra alti e bassi, ripetizione di lezioni non capite, colloqui con i medici, consigli e confronti con l’istruttore, immersioni in piscina iniziate con paura e finite con la voglia di non uscire mai dall’acqua siamo arrivati alla fine di agosto al momento di salire sul gommone.
L’atmosfera era strana. La mente era divisa fra il ripercorrere tutto quello studiato nei due mesi precedenti e la voglia incontrollabile di andare a vedere cosa c’era là sotto. Il momento del briefing sembrava non finire mai. Credo ognuno di noi non abbia neanche lontanamente capito le ultime raccomandazioni che stavamo ricevendo. Poi all’improvviso tutti i timori, le paure, i pensieri sono scomparsi. Finalmente eravamo scesi. Da lì a poco avremmo ricevuto il brevetto festeggiando l’evento in spiaggia insieme ai nostri nuovi amici al cospetto di un fantastico cielo stellato e di una luna che mandava i suoi tenui bagliori sulle creste delle piccole onde che si infrangevano sulla riva.
Quello che avevamo raggiunto, forse lo abbiamo capito solo dopo un po’ di tempo. Tutta l’esperienza in realtà ci aveva aiutato nel quotidiano. Ci siamo accorti che avevamo preso abitudini perse nel corso del tempo: i controlli della glicemia più assidui, il riflettere sul bolo da fare prima di un pasto o calcolare la correzione per un valore più alto del normale. Ripensandoci ancora oggi abbiamo ricevuto molto più di un’abilitazione ad immergerci. Abbiamo capito che tutti i giorni siamo noi gli attori principali della nostra vita, siamo noi che con le nostre scelte decidiamo il nostro destino. Fare subacquea non vuole essere l’ostentazione che i diabetici hanno una marcia in più rispetto agli altri o che possono fare tutto. E’ una scuola che ti obbliga ed insegna a conoscerti, a non raggiungere sempre ed a tutti i costi i tuoi limiti. Anzi, ti suggerisce come comportarti in quelle situazioni dove potresti trovarti spaesato o indeciso su cosa fare. Una vera e propria iniezione di fiducia e lezione di vita che andrebbe fatta da tutti noi che conviviamo con il nostro caro amico/nemico diabete.
Maurizio