Un grande successo per il primo Women Dive Day di Diabete Sommerso ONLUS
Un sentito grazie a tutte e tutti coloro che hanno partecipato a questo evento.
E’ stata una meravigliosa giornata di immersioni, di condivisione e di celebrazione della subacquea al femminile.
Di seguito i racconti che sono stati letti sul posto dalle autrici, sono così emozionanti e carichi di significato, che ci sembra giusto non aggiungere altro in questa pagina, solo un grande grazie a coloro che hanno voluto condividere questi pensieri con noi:
Elena:
Come tutte le cose che salvano, il mio incontro con la subacquea è avvenuto circa un anno fa, quasi per caso.
Mi è sempre piaciuto il mare e, spinta un pò dalla curiosità, avrei sempre voluto vedere cosa si nascondesse sotto la superficie. Me lo ripromettevo da anni ma la mia insicurezza mi ha sempre frenato.
Il mio capo ad aprile mi aveva portato a un incontro a Marina di Massa con altri sub per un corso: vedere quelle persone cosi amichevoli, gentili, appassionate, tenaci mi aveva fatto ricordare quanto volessi farlo e di come bastasse la buona volontà con un pò di entusiasmo e fiducia per riuscirci.
Ogni volta però era il momento buono per rimandare:”tanto ho tempo”, “ma si questo inverno”, “ma poi cosa faccio da sola”, “vediamo”, “di sicuro non sarò capace”.
L’estate scorsa è cambiato e crollato tutto quello che poteva cambiare, avevo una vita che mi piaceva ma che è svanita in un battibaleno. In quei giorni di caos, di traslochi, di lavori che non arrivano, di dubbi, di paure arriva una chiamata, in parte inaspettata e in parte temuta:”vieni quindi a Favignana a fare il corso con Diabete Sommerso?”. Una domanda che forse non era una domanda, ma più una conferma. E con un po di timore ho detto si.
Non sapevo cosa aspettarmi: una settimana con gente sconosciuta, una paura incredibile di fallire (e sarebbe stato l’ennesimo fallimento della mia estate), il far vedere ad altri la mia imbranataggine e cercare di tenere tutte quelle paure un po sotto controllo. Ho fatto tutto il viaggio fino all’aeroporto piangendo perché non sarei stata in grado e chissà che figuraccia.
Cosa sia successo in quella settimana è difficile da spiegare. Ho scoperto che sola, non ero sola, non ero l’unica spaventata e non ero l’unica che stava cercando di superare i propri limiti (e un conto è saperlo, un conto è viverlo una settimana tutti assieme). Ho scoperto un metodo con i miei istruttori, che per me è stata più una lezione di vita:”devi risolvere in acqua i problemi che ci sono, non puoi scappare, non puoi risalire. Hai le capacità: risolvi e in sicurezza esci. Respira sempre. Puoi farcela”. E ti accorgi che se fai le cose con calma, ragionando, senza farti prendere dal panico, senza smettere di respirare puoi rimetterti una maschera piena di acqua, arrivare a 10 metri, poi 15, poi 18, impari a chiedere aiuto e poi ad affrontare la vita “terrestre”. La subacquea mi ha insegnato che soli, non si è mai soli davvero. Che il tuo compagno è li, basta un braccio per toccarlo. E che fuori dall’acqua hai degli amici con i quali ridere a cena, mangiare un gelato o fermarti in un locale a festeggiare i brevetti presi e il lavoro che finalmente arriva. E quei rapporti continuano anche nella vita normale, quando ti trasferisci in una città nuova hai di nuovo paura, pensi di non farcela, ma respiri, affronti il problema e loro sono li per una cena a festeggiare.
La subacquea per me non è solo uno sport, non è un vedere cose belle un po nascoste. La subacquea è una scuola, un confrontarsi con se stessi prima di tutti e avere qualcuno che ti insegna un modo diverso di avvicinarti alle cose.
Come tutte le cose che salvano, la subacquea è arrivata nel momento giusto, quando avevo bisogno di imparare, di vedere le cose da una prospettiva letteralmente diversa e di conoscere.
Ah, anche il viaggio di ritorno dall’aeroporto l’ho fatto piangendo. Ma questa volta di gioia.
Laura:
Il sentiero della mia vita è lastricato di eventi ed esperienze che hanno lasciato segni profondi. La subacquea non è uno di questi, ma ha certamente avuto un ruolo determinante in un momento particolare della mia vita.
Inizio a praticarla con quell’atteggiamento un po’ fatalista che ha caratterizzato gli amori della mia vita: bello, sfidante, adrenalinico, passionale ma non durerà per sempre….
Un anno dopo mio figlio di sei anni si ammala di diabete tipo 1.
Mi chiudo in un bozzolo come un orrido bruco, mi privo di ogni contatto con il mondo esterno e soprattutto di tutto ciò che non è funzionale al suo benessere.
Mi assale il sospetto che se non sento non soffro. Finisco per crederci e azzero la mia emotività.
Non vado più sott’acqua perché non mi sento in grado di gestire l’impegno tecnico ed emotivo.
Ma non mi pesa, del resto non può curare il diabete di Tommaso….ecchissenefrega!
Mi trasformo in un’ape operaia, il fare mi aiuta a guarire dalla sofferenza.
Mi scaravento nel volontariato in ambito diabetologico. L’associazionismo sul territorio e quello nazionale. Corro, macino chilometri su e giù per l’Italia, vado ai convegni a parlare di diabete, sbatto i pugni sui tavoli di politici ottusi, lotto contro le discriminazioni e alimento quella sete di riscatto che percepisco sotto la pelle delle persone con malattia cronica.
E poi un giorno….incontro di nuovo la subacquea!
Sono in Sardegna ad un convegno sul diabete e lo sport.
Un medico parla di un progetto dal nome Diabete Sommerso.
Il diabete e la subacquea, due rette che non si erano mai incontrate ora si intrecciano in strane volute. La sfida, il tabù, la discriminazione, il farsi carico, la conoscenza di se, la formazione, il calcolo, la salita e la discesa.
Ecco l’altra faccia della subacquea, quella che può curare!
Mi butto a capofitto in questo progetto. Lo studio in ogni dettaglio, diventa una creatura viva.
Lavorare a fianco dei “sommersi” è stato come aprire l’armadio delle Cronache di Narnia. Lì dentro c’era tutto! C’era la risposta a tutte le mie domande, il senso del mio volontariato, la soluzione che cercavo, che non avrebbe guarito il diabete di Tommaso ma che avrebbe ridato sapore alla mia vita.
Riprendo ad andare in acqua con i ragazzi dell’associazione. Li vedo lottare come leoni per non cadere nella trappola dello sconforto. Li vedo piangere dalla rabbia e dalla gioia.
E guardando loro imparo a guardare mio figlio con occhi nuovi.
Quel ragazzino sparito dietro a una cascata di numeri finalmente riemerge.
Lui adesso è altro, è tutto quello che non può essere definito da un numero e che forse non può essere definito in assoluto perché la definizione limita e cristallizza.
Il paragone che segue può non essere calzante e lungi da me ogni giudizio.
Nella persona con diabete il confronto, il controllo, la crescita, la discesa rischiano a volte di diventare meccanismi patologici, come quelli dell’anoressica che “pesa” la sua felicità, la sua riuscita, la sua pace e la sua guerra.
Io credo invece che la persona con diabete debba imparare a determinarsi ogni giorno attraverso le sue relazioni con il mondo, a prescindere dai valori della glicemia.
Valentina:
Fa un caldo fottuto.
Sento i rivoli di sudore che scendono dalle tempie, dalle braccia, dalle gambe. Sono pesante, goffa e mi manca il respiro. L’attesa è snervante, ma bisogna stare calmi e respirare regolarmente. Anche la vista è un po’ annebbiata.
La glicemia…. Mannaggia, tutto questo caldo, questo sudore, questa fatica non fanno bene alla mia glicemia.
Bisogna sbrigarsi… controllare tutto, essere sicuri, ma sbrigarsi…
La muta stringe, i piombi premono sulla pancia e sui reni. Metto la maschera. Mi sembra di soffocare ancora di più. Erogatore in bocca. Gonfio il gav, …
Basta un passo… solo un passo… Chiudo gli occhi e mi sento cadere…. sprofondo trascinata dal peso.
L’acqua fresca risveglia subito mani e piedi. Un rivolo entra dal collo lungo la schiena e mi vengono i brividi. Il sangue riprende a fluire, i nervi si rilassano. Mi sembra di rimpicciolire: la muta, che fino a poco fa sembrava una gabbia, diventa una seconda pelle. Ora è confortevole, mi protegge, mi accompagna.
Riapro gli occhi.
Sto volando… sono sospesa… non c’è peso, non c’è gravità… Posso girarmi, rotolarmi, ribaltarmi. Posso fare tutto quello che voglio.
L’aria dall’erogatore è tanta e fresca. Respirare è facile. Sento che mi entra in gola e nei polmoni. Mi rinfresca. Faccio respiri lunghi e profondi, mai interrotti.
Mi guardo intorno. Tutto è lento, fluido, leggero e in continuo movimento. Come il mio respiro.
Il mio respiro è l’unico rumore che sento. Tutto il resto è ovattato, silenzioso
Guardo in alto. L’acqua circonda la luce e crea disegni che mutano continuamente. Mi ipnotizzano.
In basso invece è tutto blu e immobile.
I pesci intorno a me continuano a fare la loro vita. Qui c’è posto per tutti.
Mi muovo piano, non serve far fatica. Un colpo di pinna e via.
Sono in un altro mondo. Le fatiche di qualche attimo fa sono sparite.
Ora tutto è calma, tranquillità, pace.
E’ proprio così…
A volte basta un passo… solo un passo… e il mondo cambia prospettiva